Cchi nen festegge Carnevà quest’anne?
- Radio Notting Hill
- 7 mar
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 29 mar
"Cchi nen festegge Carnevà quest’anne?...
I crede che nesciune ce starà
e se ‘lu Cile ‘n-pu de sòle manne
‘nu gran fracasse, sci, veléme fa!
Urle, trembette, fischie e tamburrelle
la còcce a tutte quante à da sfascià!!
Curiàndele, cunfitte e carammelle
sta, còme piòve e grànnele, a cascà!!
I carre, pu, che je ‘na gran bbellezze,
che, per davére, tutte fa ‘ncantà:
te mette 'n-core tanta cuntentezze
che preste preste... nen se pò scurdà!!
Fra tante trestezze
che sta su la terre
mmeccò d'allegrezze
davère ce vo!
Zempete, segnurine e ggiuvanotte,
perché ‘lu timpe passe...e se fa notte!
E Carnevà... sapete che facette?
pe’ festeggia... la pòrte se vennètte!!!"
Ernesto Spina

Come si legge nei versi del grande Ernesto Spina, anche nella cittadina rivierasca di San Benedetto del Tronto, l’antica tradizione del Carnevale rappresentava l’ultimo periodo, intriso di intensa vivacità ed allegria, prima del lungo periodo di silenzio quaresimale. Durante la Quaresima, infatti, si susseguono quaranta giorni di riflessione, digiuno e, soprattutto, astinenza dal consumo della carne. Così il Carnevale, con il suo tripudio di colori e sapori, si presenta come l'ultima occasione per celebrare l'abbondanza prima del digiuno. Il nome stesso, "Carnevale", racchiude in sé il significato di questa transizione: "carnem levare", ovvero "eliminare la carne". Un invito a banchettare, a gustare gli ultimi piaceri della tavola, prima che il Mercoledì delle Ceneri segni l'inizio di un periodo di privazione.
E questa festa così antica era molto sentita a San Benedetto, e per l’occasione le strade della città si popolavano di maschere, carri e sfilate, accompagnate da festosi canti e balli.
Il documento più antico riguardante il Carnevale sambenedettese, conservato presso l’Archivio Storico Comunale, risale al 1828. Si tratta dell’elenco dei “banchi” riservati ad alcune famiglie sambenedettesi per assistere, a pagamento, al “Teatrino de Dilettanti pel Carnevale”.
Nel lontano 1828, il cuore pulsante della cittadina era ancora racchiuso tra le mura del Paese Alto. In questo periodo, la vita amministrativa, ma anche quella socio-culturale, sono ancora relegate all’interno delle quattro mura castellane e, in occasione di quel Carnevale, veniva allestito un teatrino in una ristretta stanza della prima sede comunale.
Le festività carnevalesche erano regolate dal "Ministero dell'Interno e di Polizia di Santa Romana Chiesa", un'autorità che vegliava sull'ordine e il decoro.
Il Carnevale della seconda metà dell’ottocento prevedeva l’uso degli abiti da maschera.
Un punto di svolta, fu segnato dall’inaugurazione del “Teatro della Concordia”, che, da quel momento, divenne il luogo centrale dei festeggiamenti carnevaleschi.
Nel frattempo, la vita cittadina si era spostata verso la “Marina”, e l'élite locale, appassionata alle feste da ballo, in occasione del Carnevale si autotassava attraverso sottoscrizioni e, pagate tutte le spese vive relative ad illuminazione, servizio di facchinaggio, vetture, orchestra ed altro, devolveva il restante per le “elemosine”.
Così, il Carnevale, un tempo celebrato tra le mura del Paese Alto, si era finalmente spostato verso il mare, assumendo nuove forme, ma mantenendo intatto il suo spirito di festa e condivisione.
Dal 1877 il “Circolo Unione”, nato proprio in quell’anno come comitato permanente di beneficenza per soccorso ai naufraghi, organizzava ogni anno un corso mascherato la domenica di carnevale con l’arrivo alla stazione ferroviaria di “Re Carnevale” , con lo sparo dei mortai, il suono del campanone e della banda cittadina. Il corso Umberto I e la piazza del Municipio si animavano anche per assistere alla corsa di fantini con consegna del palio al vincitore.
Nel periodo relativo alla prima metà del Novecento, le notizie relative al Carnevale a San Benedetto sono stranamente poche e frammentate; solamente nel 1951, per iniziativa di alcuni cittadini capeggiati da Placido Papetti, il Carnevale sambenedettese ebbe una ripresa promettente, a significare che precedentemente c’era stato un appiattimento se non un arresto. Il giovedì grasso del 1951 e la successiva domenica pomeriggio sfilarono per le vie del centro cittadino, con un momento clou lungo Corso Mazzini, alcuni carri, tra cui i celebri “La ufa de la rocca” e “Vulcania”. L’Azienda di Soggiorno, che in base a un regio decreto del 1927 doveva incoraggiare, anche mediante contributi, quelle iniziative che avessero avuto riflessi sull’incremento della Stazione di Cura e sul movimento dei forestieri, costituì uno specifico comitato per l’organizzazione del Carnevale per gli anni successivi.
Se l’edizione del 1951 è in qualche modo l’anno zero, il “Primo Carnevale Sambenedettese” ufficiale del dopoguerra si tenne nel 1952 con un ricco programma di manifestazioni in cartellone e ricchi premi per i carri allegorici.
Dal numero unico “Fotocronaca del Carnevale Sambenedettese 1954” leggiamo che:
(…) Esso è frutto di una lavorazione costante e diligente da parte di un gruppo di uomini, armati oltre che di pennelli, carta colorata, colla e vernici, anche e sopratutto di fede e di coraggio (…) Che cosa c’è di nuovo quest’anno? Molte, molte cose, non posso dilungarmi sulla descrizione particolareggiata di tutti i carri, ma vi dirò qualcosa dei principali, di quelli che faranno più colpo. I nostri informatori ci hanno parlato di un… asino colossale che emette ragli acutissimi, vestito elegantemente ed attorniato da figure caratteristiche, …; ci hanno detto poi di un signore calmo, pacifico che circondato da uno stuolo di marmocchi si dimostra un perfetto… .
Il 1955 è l’anno nel quale l’Azienda di Soggiorno approva anche il progetto per la costruzione di un capannone su area demaniale (presso il molo nord) da adibire all’allestimento dei carri allegorici allo scopo di impedire il ripetersi dei gravi inconvenienti
verificatesi a danno dei costruttori dei carri, che si erano visti costantemente esposti, con grave rischio, ai rigori della stagione invernale. L’ing. Onorati progettò il capannone da costruirsi su di un’area di circa 750 mq, realizzato l’anno successivo dalla ditta “Di Giacinti Pietro”. Dal 1959 la sfilata dei carri carnevaleschi ebbe un arresto, ad eccezione del 1971. In epoca molto recente, il Carnevale riprese sul finire degli anni ’80 del secolo scorso e, in forme diverse, prosegue ancora oggi.
Come ci piace ricordare sempre nella nostra rubrica, l’uomo non può prescindere da ciò che lo ha preceduto.
Scrive l’autore inglese Gilbert Keith Chesterton: “La tradizione non significa che i vivi sono morti, ma che i morti sono vivi” e questo breve periodo di festeggiamenti ci ricorda quanto le tradizioni raccontano di noi e, per questo, è importante non perderle mai.
Il Carnevale a San Benedetto era per grandi e piccoli, intellettuali e gente comune, portava una ventata di allegria e colore per le vie del nostro centro. Tutti si riunivano nella lunga e ricca sfilata dei carri costruiti dalle mani degli artigiani e di chiunque si prestava a collaborare. Per i Sambenedettesi ogni occasione era buona per riunirsi, costruire grandi cose e festeggiare per ciò che si era fatto.
Oggi i giovani non conoscono la tradizione carnevalesca della nostra città e per questo spesso non fanno caso al fatto che i carri ogni anno sono sempre meno e il giorno di Carnevale è solo un pretesto per far festa nei locali. Per i Sambenedettesi un tempo era molto di più, era un impegno comunitario che comportava lavoro e soddisfazione. Cosa possiamo fare? Non far morire i ricordi dei nostri genitori e nonni che custodiscono la tradizione e risvegliare gli animi per ridare la vera e buona importanza a questa festa per la nostra città.
Paola Deantoni, di Radio Notting Hill
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